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Effetto Wallace Federer
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Effetto Wallace Federer

Emanuele Ricciardi
Dec 15, 2021
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Che cos’è la capacità tecnica nel tennis? Cosa vuol dire ‘giocar bene’?

La risposta più sensata è che l’abilità tecnica complessiva di un giocatore non è univoca ma definita da molti fattori, somma di abilità differenti e che la ‘completezza’ di un tennista è qualcosa da ricercare ma non sempre garanzia di prestazioni superiori.

La risposta più sensata è che l’abilità tecnica complessiva di un giocatore non è univoca ma definita da molti fattori, somma di abilità differenti e che la ‘completezza’ di un tennista è qualcosa da ricercare ma non sempre garanzia di prestazioni superiori.

Infatti, sul campo da tennis, è possibile - e li è da sempre - essere più efficaci sapendo fare poche cose molto bene invece che molte in modo mediocre, è possibile che un giocatore dotato solo di un grande servizio e un ottimo dritto risulti molto più forte di un altro, possessore di maggiore varietà nei colpi e nelle soluzioni ma espressi ad un livello inferiore.

Per quanto riguarda il ‘giocar bene’, non puó essere scisso dal concetto di efficacia tecnica e tattica.

Il tennis è, infatti, uno sport di confronto diretto, con un punteggio espressione della sostanza di una prestazione e non della sua apparenza, della sua estetica.

Saper fare molte cose diverse è quindi superfluo?

Certo che no, la tecnica viene spesso descritta con l’aiuto di una figura retorica, quella del ‘bagaglio’.

Un giocatore, si dice, possiede un ‘buon bagaglio tecnico’.

È una immagine azzeccata, ho sempre visto la tecnica come un insieme di strumenti per risolvere problemi tattici.

Una sorta di cassetta degli attrezzi, di valigetta, al cui interno al posto di un cacciavite c’è un dritto in topsin, al posto del seghetto lo slice di rovescio, al posto di una chiave a pappagallo una ricerca di palla ben fatta o una palla corta e così via.

Più strumenti abbiamo, non importa se un po’ arrugginiti o ridicoli nella forma, meglio li padroneggiamo, più intelligenti e lucidi siamo durante la partita e più problemi tattici risolveremo e creeremo. Ma deve esserci qualità nella quantità altrimenti la completezza potrebbe non bastare.

Un giorno peró è apparso Roger Federer e le cose si sono complicate.

Inconsapevole e incolpevole, ha inserito nell’equazione che risolve il tennis e tutto quanto la sua personale variabile inarrivabile: la ‘bellezza’ dei gesti, con lui divenuti bianchi non solo a causa degli abiti indossati dai tennisti nel passato.

In Federer, infatti, si è sintetizzato qualcosa che non era mai accaduto prima, almeno non nella sua straordinaria forma: una tecnica di livello eccezionale, una grande completezza ed efficienza espressa attraverso dei gesti puliti, essenziali, belli come lo sono le cose naturali, quelle che vengono senza sforzo. E nel suo caso tremendamente efficaci.

Dal punto di vista tecnico, l’efficienza è l’elemento interessante dei gesti di Federer che riesce ad essere bello, efficace ed economico, simile all’eleganza di una formula matematica.

In questi termini è un fenomeno mai visto nello sport tranne forse, sposandosi sul parquet, attraverso Michael Jordan in quella che fu una versione della bellezza atletica più esplosiva e predatoria ma ugualmente iconica e vincente.

Poi peró, molto presto, è arrivato anche David Foster Wallace che, consapevole ma incolpevole, ha descritto Federer in modo magnifico ed allo stesso tempo iperbolico, dimostrando conoscenza del tennis e grandezza letteraria, donandogli, in tempi incredibilmente non sospetti, dei tratti divini, azzeccati ma per certi versi catastrofici.

Sì perchè Federer, nonostante la sua peculiarità e l’essere una anomalia storica, è divenuto, da quel momento e per una moltitudine di appassionati, un modello estetico con cui misurare uno sport a cui, nella sua sostanza, della bellezza non fregherebbe un bel nulla.

Un modello con cui identificare il ‘giocare bene’ con il ‘giocare bello’, in cui un rovescio splendido a vedersi ma non perfetto come quello dello svizzero è - e sarà sempre - migliore della versione a due mani di David Nalbandian, superiore in ogni aspetto ma non degno a prescindere.

Un modello per cui Jenson Brooksby - un po’ come Jim Furyk nel golf - sarà sì forte ma mai abbastanza, e certamente ‘non giocherà mai bene’ come faceva quello splendido pavone senza rovescio di Feliciano Lopez.

Insomma, una combinazione tra le doti di due persone diversamente geniali, meravigliosa, capace di esprimere e restituire al meglio un’abbacinante anomalia di questo sport e distorcerne, attraverso fanatiche interpretazioni, l’essenza.

Essenza del tennis al cui interno la bellezza puó e deve esistere, essere apprezzata, presa peró nella sua naturale dimensione soggettiva, quella del gusto, della simpatia, del tifo.

E non tenuta in considerazione nel momento in cui si discute del valore sportivo di altri tennisti la cui inevitabile imperfezione è, tra l’altro, così umana e vicina a noi da essere rassicurante e, a suo modo, anch’essa affascinante.

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